Lost in Bifest 2.0 – Viaggio tra le opere prime e seconde – giorno 4 (24 aprile)
Ci avviciniamo al traguardo di questo viaggio tra le opere prime e seconde.
La prima pellicola del quarto giorno è stata Figlia Mia di Laura Bispuri. Come nel suo film d’esordio, Vergine giurata (2015), la regista ha scelto di porre al centro dell’attenzione il mondo femminile, concentrandosi questa volta soprattutto sulla natura e sulla profondità del sentimento materno. La storia è ambientata in una torrida Sardegna. Vittoria, una piccola bambina dai capelli rossi, vive serenamente con Tina, una donna amorevole che l’ha adottata e cresciuta fin dai primi attimi della sua vita. Tuttavia, la loro quotidianità viene sconvolta quando Vittoria incontra e conosce Angelica, la sua vera madre, una donna fragile e impulsiva, che l’aveva affidata a Tina perché non in grado di prendersi cura di lei. La regista quindi descrive il tortuoso percorso che le tre donne compiono nel tentativo di imparare ad accettare la presenza di ciascuna nelle loro rispettive vite. Il film non si distingue per la sceneggiatura, caratterizzata da un intreccio narrativo semplice e canonico, quanto piuttosto per la meravigliosa performance delle due attrici protagoniste: Valeria Golino, nei panni di Tina, riesce magistralmente a dare voce a tutto il tormento di una madre che sente improvvisamente minacciata la propria maternità; Alba Rohrwacher, invece, ha reso perfettamente la fragilità e la mancanza di equilibrio di Angelica con un’interpretazione molto intensa, ma che non sfocia mai nell’eccesso e nella banalità.
Ad aprire la serata è stato La ragazza nella nebbia, di Donato Carrisi, alla sua prima regia per il cinema, ma già noto come sceneggiatore per SKY, Mediaset e Rai e come pluripremiato scrittore. La pellicola in concorso, che ha permesso a Carrisi di essere premiato con il David di Donatello come miglior regista esordiente, è una trasposizione del suo omonimo romanzo noir, pubblicato nel 2015. In un piccolo villaggio fra le Alpi trentine, la sparizione di una giovane ragazza attira le attenzioni del famoso Vogel, plasmato dal noto talento di Toni Servillo, detective astuto e dal forte spirito pratico. Egli dimostra di avere una grande capacità di servirsi dei mass media, e, disposto a tutto pur di accrescere la sua popolarità, rivolge le proprie accuse nei confronti di un professore di liceo, interpretato da un camaleontico Alessio Boni, da poco trasferitosi con la famiglia. Vogel si farà portatore di giustizia o sarà vittima della sua sete di fama? Agli spettatori l’arduo dilemma. Altrettanto seducente è lo scontro dialettico tra Vogel e lo psichiatra locale, interpretato da Jean Reno: immagini magnetiche soprattutto per il prezioso duetto di due giganti del cinema. Un’opera che non tradisce la sua natura noir, ma, al contrario, la preserva grazie alla meravigliosa fotografia e all’uso della cinepresa: scene calde e confortevoli che garantiscono la tenuta della suspense per l’intera durata della pellicola. Altrettanto evidenti sono i riferimenti a maestri come David Lynch (Twin Peaks) per l’ambientazione, e David Fincher (L’amore bugiardo e Seven), per lo sviluppo di una trama arricchita da numerose sotto-tracce che rendono la narrazione intricata e avvincente.
Ultimo film della giornata è stato A ciambra, secondo lungometraggio di Jonas Carpignano, che ha vinto l’importante Label cinemas award come miglior film europeo nella Quinzaine des réalisateurs al Festival di Cannes del 2017. Come già il primo film di Carpignano, Meditteranea (2015), A ciambra è ambientato in Calabria, precisamente in un campo rom denominato “A ciambra” a Gioia Tauro. La storia ruota intorno alla figura di Pio Amato, un ragazzino rom di 14 anni più sveglio di altri della sua età: fuma, beve e, soprattutto, grazie agli insegnamenti del fratello maggiore, Cosimo, impara in fretta tutte le tecniche di un furto perfetto. Inoltre, quando Cosimo e suo padre vengono arrestati, Pio prende su di sé la responsabilità di provvedere al sostentamento della famiglia, dimostrando grande coraggio e caparbietà. A ciambra si presenta, quindi, quasi come un film di formazione, che racconta il graduale passaggio dall’adolescenza all’età adulta di Pio, la cui crescita tuttavia sembra procedere nella direzione opposta rispetto a quella che ci aspetteremmo: il ragazzino, infatti, impara a rubare, a scappare e addirittura a tradire i suoi veri amici, pur di proteggere e sostenere la propria famiglia. Da questa prospettiva, A ciambra è un film che fa discutere e che alcuni hanno addirittura definito “razzista” (ad esempio, Tommaso Vitale dell’Università parigina di Sciences Po), perché sembra quasi alimentare i pregiudizi e i luoghi comuni sulle comunità rom. Tuttavia, Carpignano ha spiegato il vero significato del suo film: “Non credo di aver parlato male della comunità rom. La sfida che mi sono posto è mostrare quello che sono realmente e amarli, nonostante tutto, vedendo che sono persone come noi, anche se rubano (…). Sono ladri e sono felici di far mostra delle loro abilità. Loro credono di non fare nulla di male, è la loro vita, come un lavoro”. Al di là di ciò, la vera originalità del film risiede soprattutto nel fatto che sulla scena compaiono persone vere, che mostrano la loro vita reale e interpretano se stesse, non un personaggio artefatto. Tuttavia, la genialità della pellicola consiste soprattutto nel fatto che, nonostante tutto sembri spontaneo e realistico al punto da assumere i tratti di un documentario, al contrario tutto è scritto, tutto è previsto dalla sceneggiatura.
Angela Francesca Molinaro e Andrea Marella
GIORNO UNO – GIORNO DUE – GIORNO TRE – GIORNO CINQUE