Man On High Heels, di Jang Jin
Una delle leggi sacre ed universali del noir, forse la più sacra ed universale, riguarda l’impossibilità di lasciarsi alle spalle il passato, specie se si tratta di un passato violento e costellato di nemici. Esemplare è il caso di un poliziotto temuto e rispettato da tutti, incubo dei boss e noto per la sua attitudine a spaccar loro più o meno ogni osso. Per quanto si sforzi di vivere come un lupo solitario, nel cuore di Ji-wook qualche affetto penetra e nidifica: il giovane collega che lo idolatra, e la graziosa ragazza che gli serve da bere, occasionalmente informatrice ed esca, su tutti. Quando Ji-wook decide di lasciare la polizia e diventare di conseguenza più vulnerabile, espone inevitabilmente le persone care alla sanguinosa vendetta dei suoi nemici. Così vanno le cose, così devono andare, nel noir. E così vanno in questo film. Ma c’è un dettaglio, che rende questo personaggio, questa storia e questo film sovversivo: il passato che Ji-wook vuole lasciarsi alle spalle non è semplicemente quello di poliziotto, ma quello di carismatico rappresentante del sesso maschile. Dopo aver annientato una gang nei panni del poliziotto macho, si veste e si trucca da donna camminando impacciato sui tacchi alti: non c’è traccia di caricatura, anche se si ride, in una delle scene più riuscite del film. Quello che viene in mente è piuttosto la doppia identità dei supereroi, sottolineata dalle numerosi cicatrici e protesi metalliche che addobbano il corpo del protagonista, dentro e fuori.
Cha Seung-won, che aveva iniziato la carriera come modello, per questo ruolo ha dovuto perdere molti chili, conservando comunque la sua muscolatura massiccia, ma rendendola più armoniosa e capace di avvolgersi in abiti femminili. Le sue ciglia naturalmente molto lunghe e i suoi occhi perennemente tristi, sia mentre fracassa il cranio di qualche delinquente che quando ascolta, sforzandosi di sorridere, le battute sessiste dei suoi colleghi, fanno il resto. Il personaggio è leggendario, resterà impresso nella memoria e nel cuore del pubblico molto a lungo. Eppure questo non è un film che affronta la tematica del transgenderismo (e del crossdressing, dell’omosessualità), se non in maniera superficiale: questo è un crime-cop-noir che più classico non si può, con le inevitabili derive (molto) comedy e (moltissimo) melò, ché si tratta sempre di cinema coreano.
Scritto, diretto e prodotto da Jang Jin; un cineasta che tratta di temi seriosi come la pena di morte, la religione, la demenza senile, usando spesso le armi della commedia, intingendole però nel veleno della satira sociale, con una messa in scena sempre accurata e ricca di trovate visive eccitanti e notevoli (il combattimento con gli ombrelli, o le carcasse di crostacei usate come pugnali!). Si definisce un intrattenitore, ma è una maschera che gli sta stretta: Jang Jin è un autore, scrittore e regista con un sacco di cose da dire, e le dice sempre con stile.
Man On High Heels è certamente un film incompiuto, però: non sappiamo se a causa di buchi di sceneggiatura notevoli come fori di proiettile, o a causa di un montaggio che potrebbe aver lasciato fuori schermo (ipotizziamo) una buona mezz’ora di girato. Eppure, questa sensazione di incompiutezza finisce per aderire perfettamente all’identità del protagonista, anch’essa sospesa in un limbo di indecisione e malinconia struggente. E allora procede barcollando di scena in scena, come i passi di Ji-wook sui tacchi. Ma a noi del rigore e della perfezione di scrittura frega poco, e quando qualcuno ci chiederà un titolo che parli di trans, è questo che indicheremo. Perché la violenza e il sangue, le risate e le lacrime, possono seminare più dubbi e domande di due ore di pallosissima retorica politically correct. Nonostante la forzatura nel rappresentare l’omosessualità come causa del transessualismo. Perché è una forzatura che, semplicemente, aiuta a far funzionare la storia.