Hide and Seek, di Hun Jung
Nel primo weekend di programmazione (a ferragosto, tra l’altro) Hide And Seek ha totalizzato 1.350.000 spettatori, ha raggiunto un sorprendente settimo posto nella classifica dei film più visti in Corea nel 2013, più di 37 milioni di dollari incassati. Regista esordiente, basso budget, assenza di star. Come si spiega questo successo?
E’ un thriller che cattura e appassiona lo spettatore dal primo minuto fino ad un catartico finale? No, no. Anche se lo fosse, il successo è causato da qualcosa di completamente differente. Qualcosa che ne decreterebbe il successo assicurato se il film fosse distribuito anche in Italia, e magari sponsorizzato dalla Lega Nord.
Lo stesso elemento che spiega perché milioni di italiani credano alla storiella del codice segreto (segreto, eh?) dei segni su citofoni e porte che gli zingari-ladri di appartamenti inciderebbero per comunicare tra di loro. (A proposito, ma quella delle persone scomparse nei negozi cinesi e destinate al trapianto d’organi circola ancora?)
Insomma, come e forse più che in Italia, in Corea è diffusissima la paura più reazionaria, quella che le nostre sicure e pulitissime case siano minacciate dall’esercito di barboni, pazzi, disadattati e senzatetto che stringono d’assedio i centri delle nostre città, esercito che diventa sempre più numeroso e visibile. Home Invasion, un genere cinematografico ormai affermato.
Il nemico viene dall’esterno, l’alieno cattivo può nascondersi nei garage sotterranei, o, come viene evidenziato con sapiente calcolo dal regista e sceneggiatore Huh Jung, può addirittura vivere in una delle nostre case, senza che nessuno se ne accorga. L’attrice protagonista di questo film è la signora Paranoia.
Il capofamiglia protagonista (che ha il volto di Son Hyun-joo, già ammirato, anche se sfregiato, in Secretly, Greatly) sembra condurre la vita perfetta e armoniosa di uomo tranquillo e riservato, se non fosse mentalmente disturbato e ossessionato dalla pulizia al punto da lavarsi e strofinarsi le mani fino quasi a farle sanguinare (un disturbo legato a doppio filo col suo passato, e che peggiora durante la pellicola) con la stessa energia e meticolosità con la quale si accanisce a lucidare la tavoletta del water, o se non perdesse un sacco di tempo a posizionare ogni bottiglia nel suo frigo in modo che le etichette siano disposte tutte allo stesso modo. Con la sua famigliola vive in un lussuoso complesso residenziale iperprotetto e videosorvegliato notte e giorno. La sicurezza prima di tutto. Il meccanismo sembra funzionare alla grande, la prima parte del film semina tensione e suspense di scuola Hitchcockiana, le sottotrame legate al passato dei protagonisti sono notevolmente intriganti. Ma Jung scrive troppo, e alla fine Hide And Seek diventa un mezzo pasticcio pericolosamente simile a molti prodotti dello stesso genere realizzati ad Hollywood, anche se la regia vigorosa e sapiente dell’esordiente (che tutto sembra tranne che tale) Huh Jung riesce a catturare l’attenzione per tutta la durata del film. Resta comunque un solido thriller coreano, girato con competenza e aderenza professionale alle regole del genere, sconfinando spesso nell’horror.
Lo promuoviamo perché, nonostante l’innegabile furbizia e abilità nel titillare le eterne paure borghesi, è evidente la buona fede di Jung con l’esibizione insistita della contrapposizione (di classe) tra lo squallore delle case in periferia e l’eleganza delle dimore nel centro di Seoul, abitate da famiglie benestanti e sorridenti, che celano spesso disturbi psichici e aggressività latente, tenuta a bada a stento con le solite pilloline. Molto a stento. Perché in fin dei conti, la sicurezza è solo un’illusione. Come quella di riuscire a non farsi beccare giocando a nascondino in una stanza vuota, magari accovacciandosi e coprendosi gli occhi con le mani.