Giornate Coreane al FKFF – Florence Korea Film Fest
La fine di marzo 2018 si è conclusa alla grande, o per lo meno è stato così per chi ha partecipato al FKFF – Florence Korea Film Fest, che anche quest’anno è stato in grado di intrattenere e stupire il pubblico fiorentino e non.
Giunto ormai alla sedicesima edizione, il festival ha accolto numerosi ospiti di rilievo dell’industria cinematografica coreana, e con oltre 40 proiezioni tra lungometraggi e corti, il Cinema La Compagnia è stato per 9 giorni luogo di ritrovo per cinefili, amanti della Corea, e volontari che con passione hanno contribuito alla buona riuscita dell’evento. Numerose le pellicole proiettate, e diverse le sezioni a cui i film hanno preso parte. Precisamente le seguenti: Orizzonti Coreani, K-South & North (dedicate alle discrepanze e ai rapporti tra il Sud e il Nord), K-Horror, Indipendent Korea e l’omaggio al più importante ospite di quest’anno, ovvero Ha Jung-woo (per chi non lo conoscesse, il protagonista di The Handmaiden di Park Chan-wook, colui che si finge conte e deve circuire la contessa giapponese).
Il film d’inaugurazione The Fortress di Hwang Dong-hyuk, con l’interpretazione di Lee Byung-hun, ha avuto il piacere di aprire il festival, e il regista presente in sala, dopo la proiezione, ha potuto rispondere alle domande del pubblico più incuriosito. Ogni sezione ha avuto una parte fondamentale nella caratterizzazione del “Corea” (soprannome del festival usato dai suoi frequentatori), e in particolare hanno spiccato quella dedicata agli Orizzonti Coreani, ovvero le opere più significative che fanno parte del cinema contemporaneo e quella dedicata al cinema indipendente.
Ad aggiudicarsi il premio del pubblico e il premio della giuria è stato A Taxi Driver di Jang Hoon con Song Kang-ho, film basato su una storia vera d’amicizia tra un giornalista tedesco e un tassista coreano, che si ritrovano in quello che è considerato uno dei momenti più bui della storia sudcoreana, ossia il massacro di Gwangju del 1980. Quest’opera è stata anche ben accolta e lodata dall’attuale presidente Moon Jae-in, data l’importanza dell’argomento trattato. Caratterizzata da una regia classica ma allo stesso tempo d’impatto, e da una storia che è in grado di coinvolgere appieno lo spettatore, questa pellicola, grazie anche all’interpretazione del grande Song, non può che farci sentire parte di quel gruppo di persone, che quel giorno decise di protestare contro la dittatura. L’atmosfera ricreata immerge perfettamente il pubblico negli anni ’80 coreani (come era accaduto con Memories of Murder di Bong Joon-ho), periodo in cui la polizia era tutt’altro che amichevole, e il finale, addirittura struggente, lascia intendere come il sentimento dell’amicizia non abbia confini di razza o etnia, e come le difficoltà abbiano reso i due protagonisti di questa storia, uniti da un legame indissolubile per tutta la vita.
Un altro film del festival ambientato nel medesimo periodo è stato Ordinary Person di Kim Bong-Han. Della sezione dedicata agli indipendenti invece, l’opera eletta come migliore, è stata Microhabitat di Jeon Go-woon, con l’interpretazione di Esom (rinomata per aver fatto parte del cast di Scarlet Innocence di Yim Pil-sung e Man on High Heels di Jang Jin), un racconto sulla difficile vita che i giovani d’oggi sudcoreani si ritrovano ad affrontare, soprattutto riguardo al mondo del lavoro. La protagonista infatti è una ragazza che in un certo senso non vuole crescere e per questo, non riuscendo ad adeguarsi a quella che è la società attuale basata sulla retribuzione lavorativa, vive a suo modo con i pochi Won (valuta sudcoreana) che riesce a guadagnarsi facendo le pulizie. Rinuncia persino ad avere un tetto sulla testa pur di concedersi sigarette e whisky, senza i quali non potrebbe vivere. La sua vicenda però, contiene molte riflessioni. Che prezzo si è disposti a pagare per sentirsi integrati nella società ed essere considerati maturi? Mi-so (la giovane interpretata da Esom), decide di non pagare questo dazio, e di dare dunque spazio a quelle che sono le sue necessità, rimanendo così emarginata da un mondo che non la può accettare, in quanto non integrata nel grande meccanismo odierno basato sull’importanza di avere una professione e di mandare avanti questa grande macchina che è il paese.
Altri ospiti e titoli interessanti sono stati The Villainess di Jeong Byeong-Gil, e Glass Garden di Shin Su-won, entrambi presentati a Cannes nel 2017, uno film d’azione che ha ricevuto quattro minuti di standing ovation al famoso festival francese grazie soprattutto al sorprendente inizio girato in prima persona, e l’altro per la misteriosa storia che tratta di una ricercatrice biologica connessa (forse fin troppo) con la natura, e che cerca, dopo la delusione di un amore, di portare la scienza a nuovi livelli. Attenzione però, Shin Su-won (famosa per aver portato Madonna in precedenza sempre al medesimo festival) riesce a creare un’atmosfera calma e pacifica, la quale riesce a pervadere il pubblico senza intoppi, allo stesso tempo però dimostrando come nel mondo, è facile essere usati dalle persone per i loro scopi.
Di notevole importanza anche l’anteprima Europea di Along with the Gods: The Two Worlds di Kim Yong-hwa, primo capitolo di una tetralogia, con l’interpretazione di Ha Jung-woo. Film tra il fantasy e la tradizione buddista coreana, con anche qualche sprazzo di Divina Commedia (vedere per credere), l’opera è stata in pre-produzione per molti anni, in quanto tratta da un webtoon. A CGI di altissimo livello e scene di combattimenti nell’aldilà si alternano scene struggenti e commoventi che hanno fatto persino sgorgare qualche lacrima. Nel complesso dunque, un titolo d’intrattenimento interessante, che necessita della visione dei prossimi capitoli per essere meglio compreso.
Ha Jung-woo inoltre è stato anche protagonista di una master class e di una retrospettiva a lui dedicata, che ha visto non solo film in cui egli ha recitato ma anche un’opera diretta dal suddetto, ovvero Chronicle of a Blood Merchant, che tratta della concezione di padre adottivo e biologico e di quanto essa influisca nella vita quotidiana, in cui è stato affiancato nella recitazione dalla celebre Ha Ji-won. Ambientato nella Corea degli anni ’50 e ispirato da un romanzo cinese, questo film descrive l’argomento della paternità in modo originale. In una società dove ogni possibile guadagno può fare la differenza, il nostro padre di famiglia Heo Sam-gwan (interpretato da Ha Jung-woo) decide di conquistare l’incantevole Ok-ran (Ha Ji-won) e di sposarla. L’unico modo che ha di fare soldi però, è donare il proprio sangue per poi venderlo. Interessante sarà in seguito lo sviluppo della storia che oltre a mostrare la Corea dell’epoca, tra interventi di sciamani e concezioni della società ancora arcaiche, dimostra come in realtà la figura di un genitore possa essere diversa da quella che ci aspettiamo, e che si è figli di qualcuno quando l’amore prevale sulla genetica, e non necessariamente il contrario.
Ulteriori titoli interessanti sono stati A Single Rider di Lee Joo-young, sempre interpretato da Lee Byung-hun, e The Day After di Hong Sang-soo. Il primo in quanto pellicola molto particolare, ambientata tra Corea e Australia, che descrive nuovamente il mondo del lavoro e di come esso porti a trascurare e ad eventualmente perdere le persone amate, (notevole il colpo di scena finale), e il secondo perché si colloca nell’ultima serie di film diretti dal celebre Hong, il quale riflette in maniera introspettiva soprattutto sulla sua vita privata, come si è potuto notare dai precedenti Right Now, Wrong Then del 2015 (vincitore del Pardo D’oro a Locarno) e On the Beach at Night Alone del 2017, e sullo scandalo che lo ha visto coinvolto insieme alla promettente attrice Kim Min-hee (la contessa giapponese di The Handmaiden di Park Chan-wook per intenderci). Che il celebre regista si sia pentito? Che voglia tornare sui suoi passi? Questo per ora non è dato sapere, ma la notizia della rottura della relazione con l’attrice suddetta non può che incuriosire, visto che tale rapporto lo aveva spinto a lasciare la moglie.
Infine nei giorni del festival è stato possibile anche provare l’abito tradizionale coreano, chiamato Hanbok, e ad ulteriore dimostrazione che la cultura e la tradizione della penisola non sono secondarie durante il periodo del Corea, in contemporanea alle proiezioni è stato possibile assistere ad una suggestiva mostra fotografica chiamata “Oltre i Popoli, la Terra e il Tempo”, e l’ultimo giorno dell’evento, il 30 marzo, ad uno splendido spettacolo di musica e danza tradizionale “Oulime, Suoni della Corea”. Con la totale immersione nella cinematografia e nella cultura coreana per 9 giorni, il privilegio di questo festival è unico. Per gli appassionati risulta un periodo e luogo di serenità e svago, dove all’intrattenimento si affianca lo scoprire e l’esplorare nei suoi aspetti anche più reconditi i valori di un’affascinante nazione a noi lontana e vicina allo stesso tempo. E allora dunque, che si aspetti l’anno prossimo, per la nuova edizione, a cui molti, tra cui il sottoscritto, non vorrebbero proprio mancare.