Approved for Adoption, di Jung e Laurent Boileau: L’animazione come porta d’accesso alle proprie origini
Jung è un bambino coreano di cinque anni che vaga, affranto, per le strade di Seul, nella Corea del Sud degli anni sessanta. La sua storia inizia quando un poliziotto lo nota, lo raccoglie e lo affida ad un orfanotrofio. Prima di questa immagine, l’oscurità. Nessuno conosce Jung e i suoi primi cinque anni di vita. Questo deus ex machina, simboleggiato dal poliziotto che cambia le sorti del bambino per sempre, provoca una spirale di eventi volti a rivelare, e spesso immaginare, le radici di un figlio di nessuno.
Come conseguenza della Guerra di Corea, negli anni sessanta centinaia di migliaia di bambini, orfani e trovatelli, furono adottati da famiglie sparse in tutto il mondo. Questi fanciulli, frutto delle violenze della guerra e delle unioni tra soldati occidentali e donne coreane, finirono per strada, abbandonati per la vergogna da donne emarginate e umiliate dalla società. Jung fu affidato dapprima alla fondazione Holt negli Stati Uniti e successivamente adottato da una famiglia belga. Il bambino cresce dunque in Europa, ha un papà e una mamma, ha fratelli e sorelle, dimentica le proprie origini coreane a favore dei modelli culturali occidentali. L’adolescenza di Jung trascorre tra la passione per il disegno e un rapporto con la famiglia – spesso incapace di dimostrargli l’affetto necessario – che alterna amore e odio, fino ad una nuova svolta fondamentale: l’arrivo della piccola orientale Valerie. Questa nuova adozione della famiglia risulta essere uno shock per il protagonista, costretto a rivedere se stesso nella bambina e a porsi domande sul proprio passato.
Approved for Adoption è l’adattamento di un fumetto autobiografico scritto da Jung stesso. Il regista Laurent Boileau contattò il ragazzo per proporgli di co-girare il film e organizzare e documentare il viaggio in Corea alla scoperta del proprio trascorso. L’opera – dal titolo originale francese Couleur de Peau: Miel – è una meravigliosa miscellanea di stili, culture, lingue, musiche, disegni e stati d’animo. Si alternano infatti nella realizzazione l’autobiografia e il documentario, nelle immagini della Corea di oggi; il reperto storico, grazie alle immagini d’archivio della fondazione Holt e il documento, con i filmati familiari girati in Super8. Questo avvicendarsi di realtà e finzione, di immagini reali, animazione e fumetto, raffigurano l’aspetto interiore dell’animo di Jung, un meticcio di culture diverse e lontane. La consapevolezza del mistero sulla sua provenienza, porta lo Jung adolescente a ricostruirsi un passato in altre tradizioni: quella giapponese, fatta di arti marziali e quella cinese, data dalla curiosità verso una ragazza. Egli conosce un orfano vietnamita, rivelando così un sottobosco taciuto di piccole odissee e migrazioni, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, che riguardano il mondo orientale.
Jung vive i propri incubi alla luce del giorno, si scontra col razzismo e la discriminazione, nei suoi disegni convivono i mostri del suo subconscio e quelli del mondo esterno. Incubi che rivelano un’inettitudine a vivere senza conoscere il proprio passato e l’ingombrante assenza di una figura materna – detentrice dell’amore assoluto e incondizionato e creatrice della vita – perseguiterà il ragazzo all’infinito.
La struggente ricostruzione dell’identità di uomo, disintegrata ed estirpata dal proprio essere, non può che trovarsi dentro di sé, nel profondo. Nei suoi disegni Jung scoprirà d’aver ritratto inconsciamente la sua memoria storica- da qui la scelta di realizzare un’opera d’animazione come porta d’accesso alle proprie origini – depositata nelle immagini degli artisti danzanti del teatro tradizionale coreano. La passione della danza, inculcata dalla madre adottiva, rivela la duplice discendenza del ragazzo divenuto adulto: Jung è occidentale e orientale, europeo e asiatico. La non appartenenza ad una precisa cultura rende l’uomo veramente libero: egli non è né bianco né nero, la sua pelle è color miele.
Francesco Grande