A Hard Day, di Kim Seong-hun
La legge di Murphy tradotta in coreano, ovvero: se qualcosa può andare storto, non solo andrà storto ma diventerà una catena di eventi nefasti inarrestabile, una spirale senza fine di incubi e catastrofi talmente assurda da somigliare pericolosamente alla vita reale, una valanga di guai sparata addosso a velocità folle. Per nostra fortuna parliamo di cinema, e tutto questo si traduce in due ore di divertimento assicurato, anche se un po’ sadico, capace di tenere incollato alla poltrona con gli occhi sgranati anche il più assonnato e svogliato degli spettatori. Azione. Thriller. Black comedy. Caccia all’uomo. Poliziesco. Durante le giornate de I Dispersi Verso Oriente, si è spesso posto l’accento sul mix di generi che caratterizza sempre le nostre pellicole coreane preferite. A Hard Day in tal senso è uno dei migliori esempi del 2014.
Il protagonista è il detective della omicidi Ko Gun-soo, un poliziotto corrotto, l’antieroe per eccellenza, un personaggio talmente immorale da costringere il regista Kim Seong-hun a sudare sette camicie per convincere i produttori a finanziare il suo progetto. Un progetto in cui credeva ciecamente, e che rappresentava una nettissima svolta rispetto ai suoi lavori precedenti (otto anni prima aveva diretto una commedia, che peraltro si rivelò un flop commerciale). La scommessa, stravinta, consisteva nello stimolare il pubblico a chiedersi di continuo, durante la proiezione, come reagirà questo bastardo all’incredibile serie di situazioni allucinanti.
All’inizia del film il detective è in macchina, in ritardo per il funerale di sua madre, in continuo contatto telefonico con i colleghi (tutto il reparto è sotto indagine per corruzione) e con sua moglie (che oltre a rimproverarlo per il suo imperdonabile ritardo, vuole pure divorziare). Guida, parla al telefono, evita di investire un cane e finisce per investire un uomo. Viscido com’è, decide di nascondere il cadavere nel bagagliaio della sua auto. Dopo aver percorso pochi metri, gli appare davanti un posto di blocco… Questa è la serie di scintille che darà il via ai fuochi d’artificio, che termineranno solo durante i titoli di coda. La nemesi dello sbirro corrotto è Park Chang-min, un villain con i controfiocchi (poliziotto pure lui!), che entra strisciando nella vicenda come uno stalker e col passare del tempo si rivela un diabolico e inesorabile terminator, talmente cattivo e spietato da far sembrare il viscido Ko Gun-soo un simpaticone che fa tenerezza. L’intero corpo della polizia ne uscirebbe con le ossa rotte: dopo pochi minuti è chiaro a tutti che la squadra Omicidi è completamente corrotta, e più avanti scopriamo che Park Chang-min è a capo di un racket enorme che controlla traffico di droga, prostituzione e chissà che altro.
Eppure A Hard Day non infierisce, non è un film di denuncia. Non si preoccupa nemmeno di studiare i due personaggi più del necessario: non c’è ad esempio un solo istante in cui Ko Gun-soo mostri rimorso per quello che sta combinando, non ne ha il tempo. La sceneggiatura del film è talmente serrata e piena di twist da non lasciare spazio a qualsivoglia riflessione, totalmente devota alle regole del (dei) genere (generi). Suspense mozzafiato e risate a crepapelle, un noir che all’improvviso fa ridere come un film di Buster Keaton, sconfinando addirittura, in un paio di occasioni, nel surrealismo. Da applausi le splendide prove dei due antagonisti, e una regia serratissima come il plot, che peraltro non indugia in ossa fracassate e decessi melodrammatici grondanti sangue (come spesso succede nei thriller coreani, che comunque ci piacciono anche per questo), alzando al massimo la manopola della furia e della violenza nel finale, perché è giusto così e lo showdown ci voleva, classico nella dinamica ma ricco, ricchissimo di tensione e falsi finali, al termine dei quali, e una volta accese le luci, non si può fare altro che correre a fumare un paio di sigarette, una dietro l’altra.