Courmayeur si tinge di noir: cronache da un piccolo, grande festival – parte II
Un b-movie per ricordare e rivivere, letteralmente, i fantasmi del passato
Questo festival è stato, ancora una volta, una bomba di sorprese: i film proiettati saltano da uno stile all’altro volteggiando tra le anse oscure del noir con una leggiadria da farfalla. Capita, allora, spulciando cotanto catalogo in pellicola, di trovare persino un b-movie, ricco di tutte quelle sfumature di grigio e nero tanto care al genere dei capolavori di Raymond Chandler (a cui è anche intitolato il premio letterario consegnato allo scrittore noir vincitore della sezione del festival dedicata alla letteratura). Stiamo parlando del film Piccoli brividi di Rob Letterman.
Vi ricordate la meravigliosa, omonima collana di libri per ragazzi in cui tutti voi figli degli anni Novanta come me vi sarete sicuramente imbattuti almeno una volta nella vita? Bene, la pellicola si ispira proprio ai suoi titoli: nel film di Letterman vi ritroverete faccia a faccia con tutti i personaggi di queste piccole storie del brivido, dall’uomo delle nevi, al ragazzo invisibile fino al mitico Slappy, il diabolico pupazzo parlante. Per contenuto e qualità tecnica si può considerare una sorta di fratellino minore di film come Jumanji o Benvenuti a Zombieland, mitico film demenziale che parla di uno scenario post-apocalittico in cui l’umanità è impegnata a combattere contro i morti viventi, e, ultimo ma non per importanza, il sorprendente e bellissimo Burying the ex, b-movie rivelazione di Joe Dante (il papà di Gremlins 1 e 2) presentato all’edizione 2015 del festival di Venezia e, a parer mio, ingiustamente passato sotto silenzio. Dico fratellino minore perché si tratta chiaramente di un teen movie, incentrato su dei liceali e con le tematiche legate al loro mondo, cosa che non è necessariamente un difetto ma che conferisce un sapore diverso alla storia. E questo sapore ci sta tutto, è un film croccante e sorprendente, gustosissimo fin dalle prime scene.
Sapore che riesce soltanto a migliorare con l’entrata in scena di uno degli attori che meglio si sposano con i teen movie americani: Jack Black, che aveva già funzionato benissimo in School of rock di Richard Linklater, uscito nel 2003. Ruolo interpretato da questo straordinario attore è quello dello scrittore R. L. Stine, autore della collana Piccoli brividi anche nella realtà, la cui missione è cercare di riportare l’ordine nella città dopo che sua figlia e i suoi amici hanno risvegliato tutti i mostri contenuti nelle pagine dei suoi libri. Come? Per puro caso, i ragazzi si ritrovano ad aprire alcuni dei suoi libri, attirati dal fatto che i volumi fossero chiusi a chiave. I mostri vengono messi in libertà riportano nel mondo reale tutti gli orrori narrati dalla sapiente mano di Stine. A parer mio, una delle migliori scene, sia a livello formale che contenutistico, è quella dell’invasione degli gnomi da giardino, in cui ho intravisto quello che, secondo me, vuole essere un omaggio al film I viaggi di Gulliver interpretato dallo stesso Black: Stine legato e attaccato dagli gnomi, esattamente come capita al medico inglese con gli abitanti di Lilliput.
A livello contenutistico, Piccoli brividi, come già anticipato, strizza molto l’occhio a Jumanji: anche qui si scatenano degli orrori che possono essere fermati solo non arrendendosi e ricorrendo a degli oggetti-feticcio. Se nel film col grande e compianto Robin Williams si trattava di un gioco da tavolo, in questo caso si tratta dei libri e, in ultima istanza, della macchina da scrivere utilizzata da Stine per dare vita, letteralmente, ai suoi personaggi. Una nota interessante e curiosa si trova nel finale del film, in cui troviamo un cammeo del vero R. L. Stine che interpreta, in un curioso scambio di ruoli con Jack Black, il nuovo insegnante di recitazione del liceo teatro di tutte le peripezie della pellicola. La colonna sonora, infine, è firmata da Danny Elfman, cosa che non può che costituire un ingrediente di ottima qualità per la realizzazione di questa piccola delizia cinematografica. Ah, a quanto pare Piccoli brividi sarà solo il primo di una vera e propria saga cinematografica, oltre che la base per la realizzazione del romanzo intitolato Piccoli brividi. La storia, in uscita l’anno prossimo. Spero solo che questa pellicola non si trasformi nella classica gallina dalle uova d’oro, spremuta fino allo stremo con l’unica conseguenza di rovinare quello che è un b-movie di tutto rispetto. Aspettiamo e preghiamo, temo non ci resti altro da fare.
Leoni neri, il premio “vox populi” e l’americanata: la serata finale del Courmayeur Noir in Festival
Arriviamo, dunque, alla serata conclusiva del festival, nonché di premiazione. Tolto il film vincitore, premiato col leone nero, che non sono riuscita a vedere (Anacleto, agente segreto del giovane catalano Javier Ruiz Caldera), un ulteriore premio è stato assegnato a un film molto particolare che, non ve lo nascondo, mi ha lasciata piuttosto perplessa: sto parlando del premio del pubblico assegnato a Into the forest di Patricia Rozema, con Ellen Page ed Evan Rachel Wood, già presente nel cast dello strepitoso Across the universe.
Dico che questo film mi ha lasciata perplessa ma forse non è il termine esatto. Questo lungometraggio vi lascerà senza fiato, agonizzanti, vi farà sentire assaliti dal bisogno di prendere una boccata d’aria fresca per riprendervi da una storia scioccante. Ed è scioccante perché parte da un evento che può capitare a chiunque di noi, un piccolo inconveniente che, nel nostro mondo ormai super digitalizzato, rappresenta semplicemente una quisquilia risolvibile in pochi minuti, ore o al massimo, nei casi più gravi, pochi giorni: un banalissimo black-out che però, piano piano, si impadronisce della società fino a rappresentare una vera e propria apocalisse. Niente più elettricità, niente più acqua corrente, niente più benzina, niente più energia di alcun tipo. O, per lo meno, niente più energie tra quelle di cui siamo abituati a servirci nella vita di tutti i giorni. Può sembrarvi una sciocchezza ma la potenza di questo film sta proprio nella dimostrazione che non serve un’invasione zombie o qualche altra super catastrofe naturale per metterci in ginocchio. Toglieteci tutte le nostre comodità e allora sì che sarà una vera e propria tragedia per noi. Le due sorelle protagoniste, Nell ed Eva, si ritrovano a vivere nella loro amata casa d’infanzia immersa nella foresta, senza più alcuna comodità moderna, dovendo contare unicamente sulle loro forze da animali primordiali: la caccia, la raccolta, la coltivazione. E l’attacco per difendersi.
Già, perché in un mondo ormai impazzito, se i propri simili possono rappresentare un’ancora di salvezza per non perdere la civiltà raggiunta dopo millenni di evoluzione, possono, però, anche rappresentare delle notevoli minacce alla propria incolumità. Dimostrazione perfetta di questa teoria è la scena dello stupro di Eva da parte di un commesso incontrato solo pochi mesi prima nel grande magazzino della città, distante pochi chilometri dalla loro casa nel bosco. Questa scena, ve lo giuro, è in assoluto la peggior scena di violenza carnale su una donna che io abbia mai visto in un film. E di opere appartenenti a registi truculenti e crudi ne ho viste un bel po’, a cominciare dal già citato Tim Roth, che non lascia nulla all’immaginazione, fino al coreano Kim Ki-duk con Pietas, per citarne soltanto uno. Ve lo assicuro, questa scena vi colpirà come un pugno nello stomaco perché è realizzata in modo tecnicamente eccellente: non assistiamo a ogni minimo dettaglio come succede nel succitato film di Ki-duk. La potenza sta tutta nel fatto che Rozema orchestra la scena ponendo la telecamera a terra, al livello di Eva, riprendendola dal busto in su. Quindi, di fatto, non si vede nulla. Eppure quest’uso della telecamera insieme all’audio ovattato e rallentato ci rimandano ai nostri peggiori incubi. Posso solo dirvi che, alla fine di questa scena, tremavo in modo clamoroso. Dieci e lode, quindi, alle capacità tecniche dimostrate dalla regista in questo film, qualità ulteriormente valorizzate grazie alla bellissima colonna sonora, in cui troviamo anche un brano di Cat Power, Wild is the wind. Un film molto simile a Into the wild, per cui se vi piace il genere uomo vs natura, Into the forest è il film che fa per voi.
Concludo con qualche parola sull’ultimo film, Il ponte delle spie di Steven Spielberg e con il mitico Tom Hanks. Non mi dilungherò molto perché ritengo che sia un bel film, molto interessante per la tematica trattata (le attività spionistiche russe e americane negli anni Sessanta, durante la Guerra Fredda) ma pur sempre un’americanata. Riprende un po’ quelle che sono le ambientazioni e le storie di American Tabloid di James Ellroy, prive, però, dello stesso marcio e sporco che rende i romanzi di Ellroy così amati, rendendo questo film, a mio avviso, troppo buonista e scontato. Pur sempre da vedere, comunque. A Spielberg non si dice mai di no. Un finale forse un po’ troppo in sordina per un festival strepitoso, che consiglio a chiunque di vivere almeno una volta nella vita. Soprattutto perché, notizione, tutti gli eventi, proiezioni, incontri e conferenze con autori e scrittori, sono completamente gratuiti.
Ilaria Lopez