Dogtooth di Yorgos Lanthimos. Il dente di tre cani di paglia
“Un cane è come creta. Il nostro compito è di darle forma. Un cane può essere dinamico, aggressivo, combattivo, vigliacco o affettuoso”.
In una villa isolata e blindata vive una famiglia composta da un padre, una madre e tre figli. Quasi tutto il film è ambientato all’interno dell’abitazione e nel giardino con piscina, una gabbia confortevole in cui i tre giovani figli (due femmine e un maschio) vengono sin dalla nascita tenuti chiusi, completamente all’oscuro di ogni aspetto del mondo esterno.
Il padre, con la connivenza della succube moglie, trasmette da sempre ai ragazzi in modo volutamente distorto tutti i codici di comprensione della realtà, a partire dal linguaggio. Su tutto il ménage familiare domina la cieca obbedienza dei figli all’impassibile genitore, che li premia con oggetti simbolici quando vincono le gare che inventa per loro e li punisce con la simulazione di spaventose rappresentazioni della realtà esterna quando contravvenendo ai suoi ordini tentano di capire cosa c’è “oltre il giardino”.
Sin dalle prime scene sono percepibili l’atmosfera totalmente asettica e il claustrofobico, noioso scorrere del tempo che regnano nella villa, ben resi dal regista attraverso inquadrature statiche e impersonali, l’andatura lenta della sceneggiatura e la povertà dei dialoghi tra i personaggi, che di rado vanno al di là di comunicazioni necessarie per i rituali che si ripetono quotidianamente. Non viene mai pronunciato il nome dei protagonisti, identificati solo col legame familiare (il padre, la madre, la grande, la giovane e il maschio).
Anche l’inevitabile desiderio dei ragazzi di uscire dalla gabbia viene tenuto a freno dal padre, che ha inventato per loro l’ennesima bugia: saranno pronti ad affrontare il mondo esterno quando cadrà loro il dente canino (il “dente di cane” del titolo).
L’assenza di interazione col mondo e con gli stessi genitori, non crudeli nei modi ma totalmente anaffettivi – il padre con molta più naturalezza della madre – ha congelato il processo di maturazione dei ragazzi, mantenendoli ad uno stadio infantile se non degradandoli ad uno animale. Completamente privi di emozioni che non siano quelle involute del dolore fisico, della paura mista a curiosità per il misterioso mondo esterno e della compiacenza verso il padre. Rassegnati alla condizione di prigionieri.
Tutto procede senza intoppi fino a quando una presenza estranea, introdotta pur con mille cautele dal padre per un inevitabile compito (c’è un limite all’autarchia!), altera senza volerlo lo pseudo-equilibrio che lui ha costruito e mantenuto negli anni con attenzione ai minimi dettagli. L’artificiosa impalcatura familiare si sgretolerà sempre più, con conseguenze drammatiche.
Kynodontas si colloca in un’ideale trilogia proseguita da Lanthimos con Alps e conclusa con il recentissimo The Lobster, che pone al centro dell’attenzione lo studio del comportamento umano. L’impressione che ne trae lo spettatore è quella di guardare all’interno di una scatola in cui si muovono le cavie di un esperimento psico-biologico alla maniera di Laborit. La particolarità che caratterizza le tre pellicole del regista greco è quella di una forte componente voyeuristica che traspare nel collocare i suoi personaggi in contesti o ruoli artificiosi, come se ne fosse il burattinaio. Nel caso di Kynodontas si vorrebbe impedire il passaggio all’età adulta ai tre ragazzi, e tuttavia la forzatura non regge. Contrariamente a quello che sostiene l’allevatore del cane di famiglia, ognuno di loro possiede una propria indole che non è possibile forgiare più di tanto. Dolce e rassegnata quella della sorella minore, disturbata e fragile quella del ragazzo e ribelle fino alla violenza quella della grande (la bravissima Angeliki Papoulia), capace di far saltare in aria la costruzione del padre.
Non è un film per tutti, ma solo per chi sia interessato all’argomento. Ci si può sentire annoiati dalla lentezza dei tempi e dalla staticità delle atmosfere o disturbati dalle crudeltà psicologiche cui si assiste. Nessun cedimento compassionevole da parte di Lanthimos, che non lascia nemmeno intuire lo scopo della messinscena ma si limita ad osservarla dall’esterno con occhio neutrale e privo di ogni giudizio morale, come fosse l’alter ego del padre, ben interpretato da Christos Stergioglou. Di stampo fortemente autoriale la fotografia, che alterna i toni freddi e abbaglianti del giorno, trascorso per lo più nel giardino (spazio di confine potenzialmente pericoloso), a quelli caldi e rassicuranti della sera, quando la famiglia è al sicuro, all’interno della casa, per la cena e i giochi. Accuratissima la ricostruzione dell’ambiente, anch’esso congelato all’epoca della presumibile nascita dei ragazzi (anni ‘70/’80).
Claudia Ippolito
SCHEDA TECNICA
TITOLO: Kynodontas (Dogtooth)
REGISTA: Yorgos Lanthimos
SCENEGGIATURA: Efthymis Filippou e Yorgos Lanthimos
INTERPRETI PRINCIPALI: Christos Stergioglou, Michele Valley, Aggeliki Papoulia, Mary Tsoni, Hristos Passalis
FOTOGRAFIA: Thimios Bakatakis
MONTAGGIO: Yorgos Mavropsaridis
PRODUZIONE: Yorgos Lanthimos, Iraklis Mavroidis, Vicky Miha, Athina Rachel Tsangari, Yorgos Tsourgiannis
PAESE E ANNO: Grecia, 2009
COLORE O B/N: Colore