l’Arte della Felicità, di Alessandro Rak: L’animazione come luogo di confine
Le strade di Napoli attraversano una città composita, difficile, complessa. Attraversare queste strade in taxi è il modo migliore per osservare, in silenzio, il cambiamento di paesaggio, gli aspetti positivi e negativi, e soprattutto le persone, immaginando le loro storie. Ed è sulle storie, sul confluire delle storie nella vita di un uomo, che nasce L’arte della felicità, lungometraggio d’animazione che ha debuttato alla settantesima mostra del cinema di Venezia, nel 2013, e nato dalla mente del regista napoletano Alessandro Rak.
Sergio, tassista e musicista, si perde nelle storie che vive e in quelle che ascolta. Chiunque entri nel suo taxi parla, e parla di vita, di persone, parla di Napoli; chiunque entri nel suo taxi affonda le proprie storie negli occhi di Sergio, che mescola le parole degli altri alle proprie. Ma la storia di Sergio è fatta del rapporto con la musica e di quello con il fratello, Alfredo, malato e devoto ad un buddhismo così lontano dalla mentalità napoletana, in un leggero confronto tra cultura occidentale e cultura orientale.
Ed è su questo confronto che Rak inserisce la voce di una televisione che paragona il ciclo della reincarnazione all’eterno ritorno di Nietzsche. Il Buddhismo sembra potersi fondere con la cultura occidentale, trovando le sue radici nella ciclicità, ma il confine tra la religione e il vivere napoletano di Sergio, rappresentato nel lungometraggio, è proprio in questa ciclicità nietzscheana. Lo strumento attraverso il quale il filosofo tedesco tendeva alla riappropriazione del soggetto conduceva l’uomo al di fuori di quello che era uno spazio metafisico, quindi anche religioso. Al contrario della presupposizione Buddhista della ciclicità dell’anima, l’eterno ritorno è uno strumento utilizzato con fini decisamente più immanenti, da colui che annunciava, appunto, la morte di Dio. Ma i punti di contatto tuttavia permangono, evidenziando le mille contraddizioni presenti non solo in Nietzsche, ma nel confronto tra le civiltà. Contraddizioni che sono, forse, la parte più interessante messa in mostra da Rak all’interno de L’arte della felicità, consentendo al piccolo annuncio televisivo, ascoltato attraverso la finestra aperta d’una vicina, d’esser chiave di lettura di tutto il film, oltre che spunto di riflessione sul confronto tra occidente e buddhismo.
Il rapporto tra i due fratelli si interfaccia attraverso la musica, altro strumento molto utilizzato da Nietzsche per lavorare sulla filosofia, per arrivare ad un legame tra le due culture fondato sull’amore fraterno; ma il lavoro culturale non si esaurisce sul confronto, a tratti scontro, tra le due culture, e arriva ad una sintesi che si percepisce a partire dai luoghi utilizzati da Rak. Napoli diventa luogo di pioggia e di strade, lunghe scalinate e boschi, vulcani eruttanti e teatri.
Proprio sui particolari si sviluppa la storia: dal programma ascoltato in radio, chiamato appunto L’arte della felicità; dall’incontro casuale con una ragazza dai capelli corti; dalla spazzatura che sembra avvolgere e assediare la città; dall’eruzione del vulcano. Tutti i particolari confluiscono, così come le storie, in un taxi vecchio e pieno di mozziconi di sigarette, un taxi che non smette di girare, dal quale Sergio sembra non uscire mai.
Allo stesso modo con il quale i frammenti della città e le storie dei clienti del taxi si intrecciano, anche le tecniche d’animazione utilizzate sono molteplici e si mescolano sapientemente, per esser utilizzate ognuna nel momento migliore. Dal classico 2d alla computer grafica fino alla fotografia, Alessandro Rak sviluppa un intrecciarsi di tecniche sottomesse alla storia, al girare e rigirare in taxi per la città.
Luca Romano