Cold Souls, di Sophie Barthes: Quando parliamo di “Anima”
Il mistero su cui da sempre si interroga l’uomo è al centro di una pellicola di stampo surrealista che passa disinvoltamente dal genere drammatico alla commedia di matrice Alleniana. Difficile riassumere tutte le tematiche e le sfumature di un film che si ripropone di affrontare un argomento così vasto. La sceneggiatura è articolata su differenti piani di lettura che vengono aperti nel corso della trama come gli strati di una matrioska – immagine non a caso ripresa nella locandina attraverso i volti del protagonista contenuti l’uno nell’altro.
Sono fredde in senso letterale le anime dalla consistenza solida e variegata che un misterioso scienziato newyorkese estrae dal cervello dei suoi pazienti e congela in uno “Storage”. Sono fredde in senso metaforico le anime dei ricchi protagonisti, che accettano l’assurda mutilazione pur di eliminare un insopportabile stato di sofferenza interiore o addirittura chiedono di sostituirle con altre per ottenere migliori performance professionali o per una sorta di shopping con tanto di catalogo.
Al centro della trama la vicenda di Paul Giamatti, che interpreta se stesso. Nelle prime scene del film l’attore appare visibilmente angosciato e depresso ma non accetta di riconoscere il proprio malessere e lo attribuisce ad un’eccessiva immedesimazione nel personaggio che sta portando in scena (lo Zio Vanja dell’omonima opera). E’ dunque per un’”esigenza di copione” che si affida alla Soul Storage Company. Quando, pentitosi, scopre con terrore la sua anina è sparita dal magazzino e decide di ritrovarla a tutti i costi, iniziano le sue rocambolesche avventure durante le quali scoprirà che è stato coinvolto sia pur per errore in un vero e proprio commercio tra la compagnia americana e un’organizzazione criminale russa e si imbatterà in una serie di personaggi tragici o grotteschi che vi sono legati, per guadagno o per bisogno.
Incontreremo Nina, una donna che per mestiere trasporta nel proprio cervello le anime da un continente all’altro, triste e malata a causa del sempre maggiore accumulo di residui, che decide di aiutare Giamatti nella missione portandolo con sé in Russia alla ricerca dell’anima perduta. Incontreremo un boss moscovita, mafioso privo di scrupoli che rifornisce la Compagnia americana, e la sua capricciosa giovane moglie, una “bella senz’anima” che vuol appropriarsi a tutti i costi di quella di un famoso attore statunitense per rubargli il talento che non ha (e che le serve per recitare in una soap opera di successo). Incontreremo infine una poetessa russa ridotta in miseria come tanti compatrioti, che accetta di “vendere l’anima” per bisogno ma si dispera all’idea di vivere privata delle proprie emozioni.
In Cold Souls siamo al cospetto di una sceneggiatura densa e non priva di volute approssimazioni e goffaggini, metafore dell’incapacità dell’uomo di comprendere la natura dell’anima e il suo legame con il corpo.
I rimandi culturali del film sono così tanti che ognuno meriterebbe una riflessione a sé. A cominciare dall’iniziale enunciazione della teoria cartesiana dell’anima contenuta nella ghiandola pineale, cui parrebbe ispirata l’idea delle anime “solide” collocate all’interno del cervello, per continuare con la sia pur brevissima apparizione delle surreali e grottesche illustrazioni di Odilon Redon che il depresso Giamatti guarda disteso sul divano di casa, con la citazione di Eraclito, intenzionalmente fuori luogo, che il pragmatico scienziato utilizza per spiegare al protagonista la ragione per cui la sua anima rattrappita deve accrescersi come un muscolo per poter attecchire nuovamente nel suo cervello dopo esserne stata separata. Disseminate nell’intera pellicola, come se rappresentassero un tema parallelo, le esplicite dichiarazioni della regista di amore per la nobiltà e bellezza interiore del popolo russo e di sprezzo per il capitalismo e l’efficientismo americano, necessarie per la tematica ma indubbiamente costrette a volte in un ingenuo e semplicistico manicheismo. Una per tutte, il grande disagio che l’attore occidentale prova quando deve calarsi nell’anima di un personaggio complesso e tormentato come il russo Zio Vanja. Non a caso aleggia su tutto la paura dell’uomo occidentale, obbligato alla superficialità imposta dalla sopravvivenza in un sistema capitalista e competitivo, di guardare dentro di sé e affrontare i propri mostri per ampliare il respiro dell’anima. E’ ciò che per Giamatti – costretto a farlo – si rivela salvifico.
Eccellente l’interpretazione dei due protagonisti, tra i quali nasce l’unica vera relazione affettiva del film: Giamatti, sin dall’inizio accattivante con il suo autoironico sarcasmo ma capace di “umanizzare” nel corso del film il suo personaggio con grande credibilità, e la trasportatrice di anime Nina, sacrificata alla causa e sospesa tra l’apatia e ed il dolore, la cui stanchezza dovuta al sempre più devastante accumulo dei residui delle anime fa pensare a quella di uno strizzacervelli su cui i pazienti riversino le proprie sofferenze. La scena conclusiva, con le ombre dei due che in lontananza si avvicinano sempre più fino a coincidere, è un finale aperto a mille interpretazioni ma non lieto né consolatorio.
Claudia Ippolito
SCHEDA TECNICA
Titolo originale: Cold Souls
Regia: Sophie Barthes
Sceneggiatura: Sophie Barthes
Interpreti principali: Paul Giamatti, Dina Korzun, Emily Watson, David Strathairn
Fotografia: Andrij Parekh
Produzione: Journeyman Pictures, Memento Films Production, Touchy Feely Films, arte France Cinéma
Paese e anno: USA, 2009