Kooky, di Jan Sverák: Non tornare a casa
Dopo 15 anni il regista ceco Jan Svĕrák, già vincitore del premio Oscar per il miglior film straniero nel 1997 con il suo Kolya, decide di girare un lungometraggio che, tramite la tecnica della stop motion e il live action, si allontana dal mondo dell’infanzia tradizionale in modo chiaro e netto. In questo film ibrido si mescolano, oltre a diverse tecniche, mondo di finzione e mondo reale, dimensione infantile e dimensione adulta, sogno e realtà in un racconto d’avventura che coinvolge il protagonista in fughe, inseguimenti, attentati e veri e propri colpi di stato, il tutto nel favolistico contesto di una foresta incantata che si mostra come un luogo labirintico dove non è semplice cercare protezione.
Kooky è un orsacchiotto di pezza destinato a essere messo da parte dalla famiglia di Ondra, il suo giovane padrone che, affetto da disturbi asmatici, è costretto a liberarsi del suo amico per preservare la salute. L’avventura nella discarica, la fuga nella foresta e il ritorno a casa sono le tappe fondamentali di questa picaresca avventura che vede protagonista il peluche rosa dal sorriso stampato sul viso. Un’avventura dolce e inquietante, realistica e onirica allo stesso tempo, infarcita di metafore che raccontano, da una prospettiva insolita, l’emancipazione dell’individuo e la lotta, spesso inconsapevole, per raggiungere la maturità; il tutto impreziosito da una sceneggiatura imbastita di humor surreale. Kuky se vrací, il titolo originale, tradisce apparentemente un intento quasi infantile del regista – letteralmente Kuky torna a casa – ma attenzione a non cadere in un facile tranello: Kooky ha davvero poco a che vedere con il famoso collie del film omonimo. Quello di Svĕrák è un vero e proprio film d’azione, ispirato al visionario lavoro dello scultore e pittore František Skála.
Il ritorno a casa di questo indomito eroe di peluche è una storia di formazione con le peripezie tipiche di chi affronta un’avventura, la storia di viaggi e difficoltà che porteranno ad una fase della vita adulta e consapevole. Lo straniamento che porta con sé questo tenero pupazzetto costretto ad avere il sorriso come espressione facciale perenne è soprattutto legato ai luoghi: la cameretta di Ondra, la casa e la famiglia a cui è sempre appartenuto lo gettano via, eppure nel viaggio ostinato e sincero verso il ritorno scoprirà che può appartenere a luoghi inaspettati, alla foresta e agli esseri che la abitano. Kooky è un animale finto e per questo sembra continuamente rigettato dalla foresta, ma è l’unico tra i personaggi con lo sciamanico potere di relazionarsi con animali e esseri umani.
Il piccolo Ondra in preda ai deliri febbrili vivrà in soggettiva alcuni momenti chiave dell’avventura che il suo orsetto di pezza sta affrontando e, con una lungimiranza che è propria forse solo dell’infanzia, interpreterà quello spaesamento come un cambiamento definitivo, un punto di non ritorno. La stanza del bimbo in un momento di fantastico surrealismo inizia ad inclinarsi portando entrambi i personaggi verso una dimensione nuova, matura e definitiva.
Kooky da vecchio giocattolo malridotto non potrà più vivere in cattività ma, ormai rinato in una nuova veste, dovrà affiancare l’anziano capitano Von Hergot nel governo della foresta; una fine niente male per un pupazzo considerato vecchio e malconcio al quale, il titolo originale, offre un imperativo ironico.
Marilù Ursi