O Menino e O Mundo, di Alê Abreu: La speranza nella terra e nei ricordi lontani
Il Brasile è oggi una delle più grandi economie del mondo e uno dei sistemi capitalistici più imponenti e massacranti che esistano. Il paese è, al contempo, estremamente prospero e tristemente misero, il divario tra povertà e ricchezza, tra metropoli tecnologica e campagna ghettizzata e desolante, assume proporzioni esorbitanti.
Il regista e animatore brasiliano Alê Abreu realizza un’opera sulla meraviglia della vita che resiste allo squallore del mondo della società capitalistica. O Menino e o Mundo è la perseveranza e la rivalsa, infantile e spontanea, della fiaba in perenne contrasto con l’incubo. In quest’ottica la favola si svela nella storia di un bambino senza nome che, dopo l’abbandono del padre, decide di partire alla scoperta del mondo. La sconfortante scomparsa del genitore è data dalla necessità di andarsene per esigenze lavorative: il padre infatti lascia la famiglia che vive in campagna in modeste condizioni. Questa azione insinua nel bambino la curiosità verso l’insensato mondo degli adulti, costretti ad abbandonare i propri cari per cercare un lavoro.
Questo universo sconosciuto appare agli occhi del piccolo come un caleidoscopio di musiche tribali e colori della terra, affascinanti e incomprensibili. Il viaggio alla ricerca del proprio padre – e del suo dolce ricordo musicale – corrisponde al viaggio dello spettatore all’interno della società attuale. Il pubblico sarà costretto a guardarsi allo specchio, attraverso lo schermo, e a riflettere in che cosa la terra s’è trasformata. Il bambino attraversa la povertà delle favelas, lo squallore delle grigie fabbriche e sperimenta, sui corpi di persone conosciute per strada, la disgrazia della catena di montaggio e del mondo industrializzato. Arriva forse a comprendere lo stato d’animo delle persone, sfruttate nel lavoro e trasformate nel corpo – ingobbite e mutate – dalla macchina. “Non si sfugge alla macchina” diceva Gilles Deleuze, non si sfugge al suo effetto spersonalizzante, effetto che porta un uomo a non notare un bambino per strada, perché distrutto da una giornata di lavoro.
Il regista racconta la storia con disegno semplice ed essenziale e attraverso immagini istantanee ed evocative favorisce la fruizione immediata di un messaggio complesso ed eterogeneo. O Menino e o Mundo mescola animazione tradizionale e computer grafica, paper motion e documentario e addirittura immagini di repertorio. Questo pot-pourri serve a posare l’attenzione sui colori, sulle sfumature che divengono stati d’animo e che, insieme alla superba musica di Ruben Feffer e Gustavo Kurlat, rendono superflue le parole. Il film è infatti quasi completamente muto: sono le immagini, i volti, i paesaggi a scaldare il cuore o a turbarlo.
Il bambino vaga senza sosta, sostenuto dalle continue visioni del padre, in un mondo ormai completamente irreale, dove in cielo troneggiano due lune, gli alberi sono disegnati sulle case come ricordo lontano e le città sorgono letteralmente su montagne di rifiuti. Il viaggio diventa sinonimo del progresso e le città si trasformano in astronavi immense e alienanti, simili agli incubi del Metropolis di Fritz Lang. Ai confini della cosiddetta civiltà sono esiliati gli ultimi rimasugli di umanità – creatività – che canta, balla e protesta pacificamente, tentando di combattere il sistema e risvegliarlo dal torpore. Scene che rivelano, forse, una guerra in corso e che il regista mostra in uno scontro in volo fra una fenice, che risorge dalle ceneri della musica mischiata ai colori, e un’aquila nera come l’anima della città.
L’unica speranza si ritrova nella terra e nei semi piantati nei ricordi lontani. La terra rivela i colori e l’innocenza della favola e ricorda al bambino, divenuto adulto, che non tutto si è dissolto. Lontano dal grigiore e dall’automatizzazione del mondo contemporaneo è ancora possibile immaginarne uno diverso.