Rouge di Stanley Kwan: Un Amore tra Passato e Presente
Tratto da un romanzo di Lilian Lee e diretto da Stanley Kwan, Rouge esplora e fonde sapientemente tra loro più generi, che variano dal melò al thriller, passando dal fantasy fino ad assumere anche le tinte horror delle ghost stories.
Quando la poesia si trasforma in pellicola, nascono film in grado di far vibrare forte le corde delle emozioni, al di là di ogni logica razionale. E lo fanno pur senza ricorrere a spettacolari effetti speciali o dialoghi serratissimi, ma semplicemente con la forza dei sentimenti, in modo essenziale e silenzioso, quasi in punta di piedi. Rouge di Stanley Kwan risponde perfettamente a questa descrizione.
Il film racconta una drammatica storia d’amore che intreccia tra loro due epoche diverse: negli anni Trenta, Chan Chen-Pang (Leslie Cheung) – soprannominato Master 12 – giovane rampollo di una ricca famiglia di Hong Kong, si innamora di Fleur (Anita Mui), elegante cortigiana di uno dei bordelli più lussuosi della città. Dopo un giocoso e sensuale corteggiamento, tra i due nasce una profonda passione. Tuttavia, presto la loro relazione si delinea come una storia impossibile perché la famiglia di lui non approva la loro unione. I due amanti decidono così di compiere un atto estremo: suicidarsi insieme per poter vivere il loro amore, finalmente liberi, in una prossima vita. Ma le cose non vanno come previsto: Master 12 sopravvive, all’insaputa di Fleur, che si ritrova sola in un tormentoso limbo, ad attendere il suo uomo. Dopo cinquant’anni, il fantasma della donna torna sulla terra, in una Hong Kong profondamente cambiata, e con l’aiuto di una giovane coppia di giornalisti, Yuen (Alex Men) e Ah Chor (Emily Chu), si pone alla disperata ricerca del suo antico amore.
Proprio il gioco di contrapposizioni tra un passato idealizzato e un presente effimero, tra l’amore idilliaco di ieri e l’amore “convenzionale” di oggi, è uno dei cardini fondamentali della dinamica narrativa di Rouge. La storia infatti ha inizio in una Hong Kong degli anni Trenta calda e sontuosa, un mondo affascinante e rigoglioso; ma proprio quando la vicenda comincia ad evolversi, c’è un brusco cambio di scena che ci disorienta: ci ritroviamo infatti improvvisamente catapultati negli anni Ottanta. La differenza è lampante: l’ambientazione appare subito più sbiadita e fredda, illuminata dalla pallida luce dei neon. E la contrapposizione è resa ancora più evidente dal forte contrasto cromatico tra le scene ambientate nel passato, dipinte con colori caldi e brillanti, e quelle ambientate nel presente, dai colori più spenti e grigi. Tra le due epoche si instaura quindi un dialogo costante, da cui emerge una profonda nostalgia per un passato lontano e ineguagliabile, seducente e ricco di tradizioni ormai perdute, in netto contrasto con un presente sterile e vuoto.
Ancor più netto appare poi il divario tra le due storie: da un lato l’amore profondo e passionale tra Fleur e Master 12, l’amour fou che conduce a gesti estremi nella convinzione di perpetuare in eterno i propri sentimenti; dall’altro l’amore tra Yuen e Ah Chor, molto più razionale e pragmatico, degno figlio del suo tempo. Eppure, è proprio la coppia moderna a dimostrarsi più salda e più forte: i due giovani si confessano apertamente che nessuno dei due sarebbe mai disposto a sacrificarsi per l’altro, il loro è quindi un amore più semplice e disilluso, ma non per questo meno autentico. “Siamo solo persone semplici” – dice Yuen- “Conta solo essere felici insieme. Non c’è bisogno di suicidarsi! La vita è preziosa, non si arriverà a questo.” Certo, non si può più morire per amore nel presente, la poesia non è più possibile – è un amaro dato di fatto che Kwan mette chiaramente in luce – ma neanche nel passato essa ha garantito felicità e lieto fine. Allora, sembra suggerire il regista, è meglio accettare serenamente il mutamento dei tempi e prendere solo il lato migliore dei sentimenti, senza lasciarsi andare ad un anacronistico e tragico romanticismo.
Quello di Kwan è un cinema prezioso che, pur richiamandosi costantemente alla tradizione, si mostra radicalmente nuovo. Rouge infatti è stato uno dei primi film hongkoniani a fare di una donna il motore dell’azione, tratto che diventerà poi frequente nella produzione successiva di Kwan. Al centro della storia troviamo infatti una donna forte, ostinata e coraggiosa, capace di un amore totalizzante e di una devozione smisurata. Di fronte all’impareggiabile statuto quasi eroico di lei, Master 12 si scopre totalmente inadeguato: ama, ma non osa spingersi oltre. La grandezza di Fleur è sublimata inoltre dalla sua bellezza eterea e da un’eleganza che si percepisce in tutti i suoi gesti, nei suoi sguardi e addirittura nei suoi silenzi. Emozionante poi la compresenza nel film di Anita Mui e Leslie Cheung, due delle più grandi celebrità del cinema cinese, prematuramente scomparse entrambi nel 2003 – l’una per malattina, l’altro suicida.
Degne di nota, infine, sono la fotografia- affascinante e ipnotica – e la colonna sonora – che scandisce malinconicamente tutta la pellicola, lasciando spazio però anche a suggestivi momenti di assoluto silenzio in cui a parlare è l’emozione, protagonista indiscussa di tutto il film.
Angela Molinaro
SCHEDA TECNICA
Titolo originale: Yin ji kau
Regia: Stanley Kwan
Sceneggiatura: Lillian Lee, Yau Dai On-ping
Produzione: Jackie Chan, Leonard Ho
Cast: Anita Mui, Leslie Cheung, Emily Chu, Kara Hui, Li Chia-Yung, Alex Man, Irene Wang
Paese di produzione: Hong Kong
Anno: 1987
Musiche: Michael li, Siu-Lam Tang
Fotografia: Bill Wong