Lee Chang-dong e la Scoperta della Bellezza Nascosta
Chi è Lee Chang-dong? Nessuno o quasi, quaggiù. Scrittore, insegnante, direttore artistico di teatri, editorialista, per non farsi mancare niente nel 1993 partecipa alla stesura della sceneggiatura di To The Starry Island, e nel 1995 a quella di A Single Spark, entrambi diretti da Park Kwang-su. Sono due film che guardano con occhi estremamente critici alla storia e alla politica della Corea (la guerra nel primo, lo sfruttamento del lavoro nel secondo) e To The Starry Island è anche il primo film ad essere prodotto da una compagnia indipendente. Sono i suoi amici a insistere affinché provi egli stesso a dirigere, e per nostra fortuna riescono a convincerlo.
La sua prima regia, Green Fish, nel 1997 è il film più visto in patria. Vince in tutte le manifestazioni più importanti in Corea (Baek Sang Art Awards, Blue Dragon Awards, Grand Bell Awards) il premio per il miglior attore protagonista, e al Blue Dragon anche quello per il miglior film. Ottiene premi anche a Rotterdam, Vancouver, in Grecia. Racconta la storia di Mak-dong (lo strepitoso Han Suk-kyu), che torna a casa dopo aver finito il servizio di leva, pronto ad inserirsi nella società, sicuro di aver compiuto il suo dovere, di essere un uomo fatto e di meritare un futuro dignitoso. A casa troverà invece una famiglia in crisi, in preda al caos e ai problemi economici. C’è però un’altra famiglia pronta ad accoglierlo, ed è quella malavitosa di un gangster che sembra prenderlo in simpatia. Lee usa i codici del gangster-movie e del noir (non disdegnando di omaggiare Scorsese e Coppola) per raccontare quello che gli sta a cuore: gli effetti devastanti della urbanizzazione spietata dei dintorni di Seoul, con i gangster ad accumulare ricchezze e funerali, e i poveri ai margini, a farsi un mazzo così per sopravvivere e tenere insieme nuclei familiari che cadono a pezzi. A cadere a pezzi sotto i colpi del progresso capitalistico è anche la visione della società coreana, tradizionalmente patriarcale, nella quale il capobranco maschio non è più in grado di badare neanche a se stesso.
Nel 1999 Peppermint Candy viene ricoperto di premi e riconoscimenti nei festival di Karlovy Vary (Repubblica Ceca) e Bratislava, oltre che in Corea e Spagna. E’ l’anno di Memento, e anche Lee racconta una storia al contrario: quella di Yong Ho, un uomo distrutto dalla vita, partendo dal suo tentativo di suicidio e riavvolgendo il nastro di vent’anni, fino al 1979. Lo scopo è quello di raccontare vent’anni di storia della Corea, dalle rivolte studentesche al regime militare, dal boom economico alla crisi, e dei suoi effetti sulla pelle di un uomo, sui suoi amori e sulla sua innocenza. Capolavoro immortale.
“Prima ero scrittore: durante gli anni 80 mi sentivo in colpa perché scrivevo romanzi invece di contestare il regime militare e spesso mi sono domandato se ciò che scrivevo potesse cambiare il mondo. E’ un dubbio che ancora mi porto dietro e oggi, da regista, quando faccio film, mi chiedo come questi possano agire sulla realtà che mi circonda”
Oasis esce nel 2002, e raccoglie medaglie in Corea, Norvegia, Australia, Francia, agli Indipendent Spirit Awards negli Stati Uniti, a Seattle, Vancouver ma anche a Bellinzona e – udite, udite – Venezia, dove la terza opera di Lee Chang-dong si aggiudica fiumi di applausi e quattro premi (tra i quali il premio Marcello Mastroianni), grazie ai quali Oasis è stato poi distribuito addirittura nelle sale italiane. D’altronde la storia d’amore tra Jong-du (una testa calda, appena uscito di prigione) e Gong-ju (una ragazza spastica, figlia di una delle vittime di Jong-du) è di quelle che fanno tremare i polsi. Intenso, straziante, rivoluzionario, Oasis colpisce cuore e cervello in maniera irreversibile. Sicuramente nella nostra Top 5 di tutti i tempi.
Cinque anni dopo (nel frattempo Lee Chang-dong è stato anche ministro della Cultura e del Turismo) è la volta di Secret Sunshine, che oltre al consueto sfracello di premi in Asia, vince anche a Cannes (miglior attrice), dove è inoltre candidato alla Palma d’Oro. Il primo nome che viene in mente guardando il quarto film di Lee è quello di Cassavetes (indicato dal regista coreano come una sua fonte di ispirazione, insieme a Bresson), anche per la bravura dell’attrice protagonista, Jeon Do-yeon. E’ una giovane madre che resta vedova, e si trasferisce nel paese natale di suo marito, andando incontro inconsapevolmente ad un’altra tragedia. I temi che Lee sviscera con questo straziante melodramma sono la ricerca della fede, il fanatismo religioso, la follia che il corpo, gli occhi, la furia di Jeon Do-yeon rendono palpabile. E la penna di Lee Chang-dong ne sviscera le origini. “A proposito di Jeon Do-yeon in “Secret Sunshine”, lei mi ha davvero odiato durante le riprese. Adesso mi vuole bene, dopo l’uscita del film, ma durante le riprese mi odiava davvero. Il suo personaggio nel film odia Dio, così le ho detto: “Immagina che sia io Dio, immagina il tuo odio per Me”. L’odio che provava nei miei riguardi è stato molto utile al film, e alla sua recitazione.”
Anche con Poetry (2010) ottiene una nomination per il premio più ambito a Cannes, ma dovrà accontentarsi di premi “minori”: tra gli altri, vince anche quello per la miglior sceneggiatura. Per quella che (finora) è la sua ultima regia, Lee Chang-dong viene premiato anche a Boston, Manila, Friburgo, Londra, L.A.. Ancora un ritratto femminile, affidato a Yun Jung-hee, storica interprete del cinema coreano degli anni 60, che diventa Mi-ja, una donna colpita dai primi sintomi dell’Alzheimer ma per niente disposta ad abbattersi: mentre incombe la demenza, aumenta la sua passione per la poesia. Ancora cuore e cervello nel mirino di Lee, e non solo i nostri. I cuori aridi e quelli vivi si riconoscono subito, nella pellicola. E nella sala cinematografica anche, perché Poetry ha un finale che non può lasciare indifferenti.
“Scoprire la bellezza nascosta e il senso nelle cose piccole e banali, è l’elemento fondamentale non solo nel cinema ma in tutte le espressioni artistiche. Il problema è che la bellezza non esiste di per se’. Come la luce e le tenebre, che sia visibile o no, la bellezza esiste insieme al dolore, all’oscenità e alla cattiveria. Le albicocche hanno bisogno di cadere a terra per creare nuova vita. Pertanto, l’arte di per se’ è solo ironia. Proprio come le nostre vite.”