I GENERI DEL CINEMA COREANO – Parte II: K-Horror
Come il melodramma, anche l’horror sudcoreano, comunemente conosciuto come K-horror, è donna. Il genere infatti è letteralmente infestato da femmine fantasma dai lunghi capelli neri (gwishin in coreano) e in abito bianco, il più delle volte intente a dare tormento a studenti, adolescenti vari o parenti. E’ che il K-horror è un figlio degenere del melodramma, e come questo ha una forte connotazione sociologica: se il melodramma si caratterizzava per l’unhappy ending, con le cinderella dagli occhi a mandorla costrette al sacrificio catartico per la preservazione del patriarcato e della società sessista, il K-horror sposta l’epilogo funesto nell’oltretomba, con le medesime abusate protagoniste ritornanti nella forma ectoplasmatica della maledizione, per riparare i torti subiti ad opera della comunità o della famiglia e trovare, più che vendetta, il riconoscimento sociale altrimenti negato. Prima di andare oltre, è bene considerare che la simbologia coreana è del tutto diversa da quella mediterranea, già a partire dall’uso dei colori, essendo il bianco il colore associato al lutto, alla morte ed al trapasso, invece del nostro nero, caratteristica questa che proviene dalla cultura giapponese ed in specie dalla religione buddista, dove lo shinishozoku (lett. dal giapponese ”indumento da viaggio”), sobok in coreano, è il vestito bianco, che va fatto indossare alle salme.
Il gwishin, dicevamo, è un fantasma che può mutare secondo i contesti. Il cheonyeo gwishin è il fantasma di vergine, il massimo della sfiga per una donna, morta senza onorare il talamo nuziale e servire al suo uomo ed alla prosecuzione della specie. Può accadere che il cheonyeo indossi la divisa scolastica, anziché il sobok, ed in questo caso si ha la variazione studentesca sul tema, con gli studenti al posto dei patres familias, senza che muti la sostanza della verginella angariata fino alla morte. Il Mul gwishin invece è invece il fantasma acquatico, di povera sventurata morta sola affogata, che passa il resto dei suoi giorni a cercare compagnia aggrappandosi alle caviglie di ignari bagnanti, di lago o di fiume. Il Gumiho invece è l’anima belluina della donna, è la volpe a nove code che assume sembianze da dark lady narrata nell’antica tradizione orale coreana; per quanto spaventevole, assume anche connotazioni romantiche, in quanto può realizzare il suo obiettivo di umanizzazione definitiva solo sposando un uomo, e nascondendogli la sua animalità – chiara metafora sessuale – per 100 notti continuative. Il Jayuro gwishin, infine, è il fantasma di donna morta investita da auto, che infesta strade statali e provinciali come una povera mercenaria, di vite anziché di sesso a pagamento (ma il riferimento è chiaro).
Ciò detto, andiamo a vedere uno dei primissimi esempi di K-Horror, A Public Cemetery below the Moon (Kwon Chul-hwi, 1967) , con un’ ex prostituta che sposa un rampollo di una famiglia bene, ma la madre di lui ne impedisce l’accettazione sociale seminando sospetti e maldicenze, spingendosi ad ucciderla con veleno letale. La povera sposa cadavere tornerà come spettro cercando, non giustizia, ma l’amore dello sposo ed il pubblico riconoscimento della sua virtù muliebre. Un melodramma a tinte forti quindi, ad ambientazione familiare, dal carattere marcatamente reazionario, che fu come un prototipo, una mosca bianca nel panorama della distribuzione cinematografica coreana. La cultura confuciana dominante, infatti, mal tollerava le esibizioni emozionali di spavento in sala con annesse urla molto poco decorose, ed i k-horror, inizialmente pensati per il pubblico delle stagioni estive, furono gradualmente letteralmente proibiti fino alla seconda metà degli anni ’80. Non è un caso – nota il già citato Chung-Sung Ill nel suo “Four Variations on Korean Genre Film: Tears, Screams, Violence and Laughter – che Whispering Corridors – il film K-horror di maggior successo in patria, con ben 4 sequel, vide la luce nel 1998, l’anno di grazia in cui fu decretata la fine della dittatura militare a Seul. Da allora, ad oggi, il K-horror si è ritagliato uno spazio di assoluta preminenza al box office nazionale ed internazionale, contaminandosi con altri generi quali lo psicothriller (I Saw the Devil) o la critica sociale e politica (Bedevilled) e metabolizzando in chiave del tutto originale i canoni delle horror stories d’Occidente (Thirst, oppure Zombie School). Occorre però sottolineare che gli schemi narrativi, per quanto in fermento ed in grande sperimentazione, restano quelli tradizionali, e le visioni dei K-horror attuali sono radicali, spesso brutali, ma solo raramente efficacemente sovversive.