A Cat in Paris, di Jean-Loup Felicioli e Alain Gagnol: Un noir d’animazione tra Modigliani e i Surrealisti
Vedere un film d’animazione come A Cat in Paris è un po’ come trovarsi davanti al personaggio della Linea di Cavandoli: la reazione è la stessa, di stupore davanti a tanta genialità in qualcosa di talmente semplice.
Il film racconta la storia di Dino, gatto parigino dedito a una doppia vita; casalingo di giorno, in famiglia con la piccola Zoe, sua madre, la poliziotta Jeanne e la sgradita governante Claudine; predatore di notte in compagnia di Nico, un ladro che attraversa la città saltando di tetto in tetto e che si rivelerà un aiutante fondamentale nella risoluzione del caso che ha causato la morte del papà di Zoe in cui è implicato il violento ladro Victor Costa. L’opera è marchiata Folimage, prolifica e interessante casa di produzione francese di film d’animazione, attiva dagli anni ottanta, fondata e diretta da Jacques-Rémy Girerd, qui anche in veste di sceneggiatore.
L’essenza di questo film è racchiusa nella semplicità con cui appare allo spettatore, semplicità che nasconde una complessità di lavoro non indifferente: due anni di scrittura e progettazione seguiti da circa tre anni di lavorazione e un approccio artigianale che ha impiegato sei animatori. L’ambientazione noir in una Parigi che accoglie alla perfezione gli strampalati gangster che minacciano Zoe e la sua mamma, le scorribande in corsa sui tetti della città di Nico e Dino, un film che ha al suo interno sempre aperto quel varco che unisce sogno e realtà, immaginario infantile e ambientazione da gangster movie. Una pellicola che si muove costantemente a metà strada tra queste dimensioni, con una sfrenata capacità di prendere a più mani da diverse correnti artistiche; su tutte il surrealismo, con il suo ruolo di sogno/incubo come meccanismo rivelatore dell’inconscio e delle angosce quotidiane. Le visioni che caratterizzano Jeanne costantemente minacciata dall’uomo/Golem Costa non fanno altro, infatti, che riprendere l’immaginario surrealista e non solo, quella vena “nera” che già dai titoli fa riferimento all’espressionismo e i rimandi che da Murnau attraversano tutto il cinema moderno per approdare anche a quello d’animazione.
La scelta della Folimage di lavorare in 2D con disegni animati non cedendo alle lusinghe del digitale rende il film ancora più suggestivo, perché ci racconta di un mondo quotidiano attraverso le sue angosce, le sue fantasie, le speranze e i desideri lasciandoci attraversare dalle visioni di volti già incontrati in molti musei, su tutti i ritratti di Modigliani: il volto della mamma di Zoe richiama in maniera chiara i ritratti di figure femminili del pittore livornese, in particolar modo quelli proprio di Jeanne Hébuterne di cui, non a caso, è omonima. Un divertente gioco di citazioni cinematografiche delizia e accompagna tutta la visione, dal già citato Murnau all’imprescindibile Méliès fino ad arrivare a Tarantino e attraversando cult movie come Ghostbusters.
Marilù Ursi